Nuovamente è intervenuta la Cassazione con la sentenza n. 22754/2019 del mese di settembre, ribadendo che per l’applicazione dell’imposta di donazione, così come di quella proporzionale di registro ed ipocatastale, è necessario che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale.
Dell’argomento si era già parlato in latri due recenti articoli del blog che analizzavano da un lato numerose sentenze recenti in materia, dall’altro un recentissimo interpello della Agenzia delle Entrate (che seguiva una interpretazione del tutto diversa).
Di seguito i passaggi principali della sentenza che, analizzando una prima strada seguita dalla Giurisprudenza e, successivamente, una seconda interpretazione seguita più recentemente, sceglie di optare per l’avvallo di questa seconda interpretazione che esclude la tassazione proporzionale senza effettivo trasferimento (che nei trust avviene solo nella fase finale del trasferimento al beneficiario indicato).
La costituzione del vincolo di destinazione di cui al D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, conv. In L. n. 286 del 2006, non integra autonomo e sufficiente presupposto di una nuova imposta e, d’altro canto, per l’applicazione dell’imposta di donazione, così come di quella proporzionale di registro ed ipocatastale, è necessario che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale. Nel trust, un trasferimento così imponibile non è riscontrabile nè nell’atto istitutivo nè nell’atto di dotazione patrimoniale tra disponente e trustee – in quanto meramente strumentali ed attuativi degli scopi di segregazione e di apposizione del vincolo di destinazione – ma soltanto in quello di eventuale attribuzione finale del bene al beneficiario, a compimento e realizzazione del trust medesimo. Conseguentemente, nel caso del trust, definito autodichiarato, non vi è un reale trasferimento poiché esso sarebbe del tutto contrario al programma negoziale di donazione indiretta per cui è stato predisposto e che “prevede la temporanea preservazione del patrimonio a mezzo della sua “segregazione”.
La posizione di partenza (Cass. nn. 3735, 3737, 3886, 5322 del 201515) è fissata dalla seguente massima (nello specifico Cass. n. 3735 del 2015 cit.): “L’atto con il quale il disponente vincoli propri beni al perseguimento della finalità di rafforzare una generica garanzia patrimoniale già prestata,nella qualità di fideiussore, in favore di alcuni istituti bancari, pur non determinando il trasferimento di beni ad un beneficiario e l’arricchimento di quest’ultimo, nondimeno è fonte di costituzione di un vincolo di destinazione, sicchè resta assoggettato all’imposta prevista dal D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, art. 2, comma 47, convertito dalla L. 23 novembre 2006, n. 286, la quale – accomunata per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali – a differenza delle imposte di successione e donazione, che gravano sui trasferimenti di beni e diritti “a causa” della costituzione dei vincoli di destinazione, è istituita direttamente, ed in sè, sulla costituzione del vincolo”.
La posizione che possiamo definire di arrivo (Cass. n. 1131 del 2019) afferma invece che:
– “non si può trarre dallo scarno disposto del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, il fondamento normativo di un’autonoma imposta, intesa a colpire ex se la costituzione dei vincoli di destinazione, indipendentemente da qualsivoglia evento traslativo, in senso proprio, di beni e diritti, pena il già segnalato deficit di costituzionalità della novella così letta”;
– “in relazione agli atti di dotazione del fondo oggetto di causa (…), il giudice di appello (…) ha correttamente escluso che la costituzione del vincolo di destinazione sulle somme di denaro conferite in trust avesse prodotto un effetto traslativo immediato, solo in tal caso giustificandosi la soggezione dell’atto dotativo all’imposta sulle successioni e donazioni, in misura proporzionale, in quanto sicuro indice della capacità economica del soggetto beneficiato”.
Si ritiene che quest’ultima sia la posizione più persuasiva, così da dover essere qui recepita a composizione di un contrasto che può sul punto dirsi, anche in ragione delle altre decisioni di cui si darà conto, ormai soltanto diacronico.
Si riconosce che nel “genere” degli atti di “costituzione di vincoli di destinazione” di cui al citato D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47 rientri anche la “specie” del trust; ha in proposito osservato Cass. n. 1131 del 2019 cit. che: “nell’ambito concettuale dei ‘vincoli di destinazione devono essere ricondotti non solo gli ‘atti di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c., ma qualunque fattispecie prevista dall’ordinamento tesa alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo (…)”.
Tale inclusione, tuttavia, non è ritenuta bastevole a giustificare l’imposizione del trust in quanto tale, ostandovi principalmente considerazioni di natura costituzionale.
Ciò perchè la tesi della ‘nuova imposta gravante sul vincolo di destinazione, assunto quale autonomo e sufficiente presupposto, non dà adeguatamente conto del fatto che la sola apposizione del vincolo non comporta, di per sè, incremento patrimoniale significativo di un reale trasferimento di ricchezza; con quanto ne consegue, appunto nell’ottica di un’interpretazione costituzionalmente orientata, in ordine alla non ravvisabilità in esso di forza economica e capacità contributiva ex art. 53 Cost..
Resta ora da vedere cosa deciderà di fare la amministrazione finanziaria di fronte alle numerose sentenze che le danno torto in merito all’imponibilità dei trust fin dall’atto costitutivo/traslativo, interpretazione seguita pedissequamente negli ultimi 10 anni.
qui il collegamento con la sentenza, pubblicata sul sito della Corte di Cassazione