Le successioni

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Agevolazione prima casa: in alcuni casi si può cambiare idea senza sanzioni – risoluzioni 105/2011 e 112/2012

Ogni volta che un contribuente chiede la applicazione della agevolazione prima casa egli allega a detta richiesta una autocertificazione in cui dichiara di possedere determinati requisiti e di garantire, entro certi termini, il perseguimento di altri specifici requisiti.

Il mancato possesso di uno dei requisiti che risultasse a seguito di un accertamento fatto dalla Agenzia delle Entrate comporterebbe peraltro, in capo al contribuente, colpevole di aver reso una dichiarazione mendace, la perdita della agevolazione e il conseguente pagamento dell’imposta piena oltre alla sanzione piena, pari al 30% d’imposta.

Ora, per le dichiarazioni che riguardano requisiti che il soggetto deve possedere nel momento in cui rende la autocertificazione il lavoro della Agenzia è semplice: dovrà verificare la veridicità della dichiarazione e, eventualmente contestarne la mendacità.

Ma cosa succede per i requisiti che il dichiarante si impegna ad ottenere entro un certo termine?

Il dichiarante infatti si impegna ad acquisire la residenza nel comune in cui si trova l’immobile entro 18 mesi e si impegna anche a non rivendere l’immobile (salvo il caso di vendita e successivo acquisto di altra prima casa entro l’anno) per i primi cinque anni.

Se il dichiarante non rispetta detti impegni nei termini è naturale che la Agenzia potrà elevare avviso di accertamento e chiedere il pagamento dell’intera imposta proporzionale oltre alla sanzione complessiva dovuta. Ma se il contribuente si rendesse conto prima della scadenza dei rispettivi termini di non poter rispettare l’impegno? Potrebbe modificare la sua dichiarazione o sarebbe per forza destinato a pagare integralmente le sanzioni che, scaduto il termine, gli verranno comminate?

Sul punto sono di aiuto due importanti Risoluzioni della Agenzia delle Entrate: la n105/2011 e la n. 112/2012.

La prima si occupa dell’impegno ad acquisire la residenza nel comune in cui si trova l’immobile entro 18 mesi dalla dichiarazione e precisa che se il contribuente, prima della scadenza di detto termine, si accorgesse di non poter rispettare la dichiarazione potrebbe, così da non far risultare mendace la sua dichiarazione, rinunciare alla agevolazione prima casa tramite apposita istanza.

In tal caso il contribuente, a seguito della notifica dell’avviso di liquidazione da parte dell’ufficio, sarà tenuto a corrispondere un importo pari alla differenza tra l’imposta ordinaria applicabile in assenza di agevolazione e quella agevolata effettivamente sostenuta, oltre a dover versare gli interessi, calcolati a decorrere dalla data di avvenuta dichiarazione.

Non sarà però tenuto al pagamento della sanzione amministrativa stabilita nella misura del 30 per cento dell’imposta effettivamente dovuta, comminata invece in caso di accertamento da parte della Agenzia.

Stesso discorso, per analogia, in merito all’impegno di non rivendere l’immobile entro cinque anni; fattispecie regolata dalla Risoluzione AE 112/2012.
Il caso è quello del contribuente che vende l’immobile acquistato con i benefici “prima casa” prima che siano trascorsi i 5 anni e che non intende acquistarne un altro da adibire ad abitazione principale entro l’anno.

Ebbene egli, nel caso in cui sia ancora pendente il termine dei 12 mesi per l’acquisto di un altro immobile da adibire ad abitazione principale, trovandosi nella condizione di non poter o di non voler rispettare l’impegno assunto, anche in forza di motivi personali, potrà comunicare il proprio intendimento all’Amministrazione finanziaria, presentando apposita istanza e chiedendo la riliquidazione dell’imposta assolta.
Il contribuente in questo modo verserà soltanto la differenza tra quanto versato al momento dell’acquisto dell’immobile e i relativi interessi, senza applicazione di sanzioni, dovute invece in caso di accertamento a seguito del decorso dei dodici mesi.
Cambiare idea quindi si può, a patto di farlo prima di diventare mendace e di comunicarlo all’Agenzia per la liquidazione dell’imposta in misura ordinaria.

di seguito i due link alle Risoluzioni:

Risoluzione AE 105/2011

Risoluzione AE 112/2012

Il “valore zero” in dichiarazione – focus sui fabbricati rurali

Continua l’estenuante lavoro di “interpretazione” del nuovo modello di dichiarazione , necessario per capire dove andare ad inserire le corrette informazioni da fornire alla Agenzia.
Se infatti con il vecchio modello cartaceo il professionista poteva, tramite la sezione Osservazioni, inserire le informazioni aggiuntive che caratterizzavano il singolo cespite laddove esso si scostasse dalle regole tradizionali per tipologia, il Nuovo Modello, composto di campi blindati, non permette di inserire dati aggiuntivi.
La sfida del professionista è quindi quella di capire come inserire correttamente dette informazioni aggiuntive e come indicare i casi più particolari.

Vediamo ad esempio alcuni dei casi più difficoltosi da gestire in riferimento ai cespiti immobiliari.

L’ “Ente Urbano” in dichiarazione

Una delle questioni più discusse riguarda, ad esempio, l’inserimento o meno in successione di un immobile censito al Catasto Terreni e classificato come Ente Urbano.
Premesso che il bene in oggetto si trova nella partita speciale del Catasto Terreni ed è privo di intestazione catastale, risultando Area di enti urbani e promiscui, esso, non essendo intestato al de cuius non deve essere inserito in successione, anzi, il suo inserimento bloccherebbe la pratica.
E ciò, nonostante si trovi tra i codici natura nel quadro EB anche la natura “Ente Urbano”

Il “Valore Zero” in dichiarazione e i fabbricati rurali

Un altro aspetto problematico nel nuovo modello è dato dalla impossibilità di inserire i cespiti a valore zero.
Il modulo di controllo dell’ Agenzia delle Entrate richiede, infatti, che per ogni cespite inserito in dichiarazione debba essere presente un valore superiore a zero (il presupposto su cui l’Agenzia si basa è il fatto che un qualsiasi bene ha, comunque, un valore di mercato, ancorchè minimo, da poter indicare).
Questo blocco, nei primi mesi di applicazione del modello ha portato a contestazioni, soprattutto in riferimento ai fabbricati rurali che, qualora mantengano i requisiti di ruralità in capo agli eredi, da sempre, si inseriscono in successione a valore zero.

L’Agenzia, dunque, prendendo atto della problematica, ha stabilito che, in relazione agli immobili, eccezioni al blocco del “valore zero” siano:

– fabbricati rurali ancora censiti al catasto terreni ( codice natura R) e inseriti nei quadri EB/ EL

– fabbricati censiti in categoria D/10 che presentano i requisiti di ruralità e inseriti nei quadri EC/EM

In tutti gli altri casi sarà necessario inserire un valore anche se minimo.
Anche in caso, ad esempio, di immobili censiti in categoria F/1 e privi di rendita catastale, essi andranno inseriti senza indicare rendita e inserendo un valore di mercato, minimo o maggiore a seconda del caso.
Stesso discorso per gli immobili eventualmente censiti al catasto fabbricati in categorie diverse dal D10 ( ad esempio l’abitazione del coltivatore o un magazzino o una stalla): anche per essi sarà necessario inserire un valore minimo perché la pratica passi i controlli della Agenzia.

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