La corte di cassazione, recentemente, con la sentenza n. 13868/2018 , interviene in materia di interpretazione del contratto e corretta distinzione tra le disposizioni a carattere universale e quelle a carattere particolare in testamento.
Il caso concreto parte dall’analisi del testamento pubblico con cui il de cuius disponeva in favore della moglie l’usufrutto generale vitalizio del suo patrimonio mobiliare e immobiliare, di tutti i macchinari e attrezzi agricoli, trattori, motocoltivatori ed eventuale patrimonio zootecnico. Ai figli lasciava la nuda proprietà di diversi immobili e quanto non assegnato in beni immobili, attribuiva in parti uguali ai tre figli, gravato di usufrutto generale in favore della moglie. Il de cuius assegnava sempre in parti uguali anche tutti gli oneri e i gravami ricadenti sull’intera proprietà, una volta consolidato l’usufrutto.
Alla morte del de cuius, essendo già morta comunque anche la madre, uno dei tre figli cita in giudizio gli altri due sostenendo che l’usufrutto alla madre era da ritenersi un legato e la ripartizione dei beni in nuda proprietà effettuata dal de cuius non rispettava le quote di 1/3 a figlio previste di fronte ad una esclusione dall’eredità del coniuge.
La cassazione, interpellata dopo che primo e secondo grado son giunti a due interpretazioni diametralmente opposte, fatta una premessa sulla corretta modalità di interpretazione del testamento per cui “va anzitutto ribadito (sul punto v. ad es. Cass. n. 5604 del 17/04/2001 oltre altre) che l’interpretazione del testamento, cui in linea di principio sono applicabili le regole di ermeneutica dettate dal codice in tema di contratti, con la sola eccezione di quelle incompatibili con la natura dì atto unilaterale non recettizio del negozio mortis causa, è caratterizzata rispetto a quella contrattuale da un più penetrante ricerca, al di là della dichiarazione, della volontà del testatore, la quale, alla stregua dell’art. 1362 cod. civ., va individuata con riferimento ad elementi intrinseci alla scheda testamentaria, sulla base dell’esame globale della scheda stessa e non di ciascuna singola disposizione (art. 1363 cod. civ.), e, solo in via sussidiaria, ove cioè dal testo dell’atto non emerga con certezza l’effettiva intenzione del de cuius e la portata della disposizione, con il ricorso ad elementi estrinseci al testamento, ma pur sempre riferibili al testatore, quali ad esempio la personalità dello stesso, la sua mentalità, cultura, condizione sociale, ambiente di vita, ecc. L’accertamento di tale volontà, risolvendosi in una indagine di fatto da parte del giudice di merito, è, quindi, sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole di ermeneutica sopradescritte, al di là dei vizi di motivazione della sentenza”, stabilisce che l’usufrutto generale disposto con testamento in favore del coniuge non ne esclude la qualità di erede.
La Cassazione, infatti, sostiene che la valutazione tra erede e legatario in un lascito come questo, deve essere lasciata alla analisi del caso concreto e, in riferimento al caso di specie né il lascito di usufrutto può essere considerato in sostituzione di legittima senza che ciò sia espressamente indicato né può essere considerato un semplice legato se si evince che il de cuius, vista la tipologia di attribuzione, volesse trasferire una quota ereditaria, cosi come appare nel caso in questione.
Di seguito il testo integrale della sentenza 13868