Le successioni

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Il diritto alla pensione di reversibilità del coniuge divorziato

Il diritto alla pensione di reversibilità, che spetta ai superstiti individuati dalla legge in caso di decesso del lavoratore, spetta anche, a determinate condizioni, al coniuge divorziato.

Ai sensi della normativa in materia di divorzio infatti “in caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza.

            Qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell’assegno di cui all’art. 5. Se in tale condizione si trovano più persone, il tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze.”

In sostanza il coniuge anche se divorziato, a patto che abbia ottenuto l’assegno divorzile periodico in fase di divorzio, potrà accedere (pro quota se in concorso con altro coniuge o per l’intero se da solo) alla pensione di reversibilità.

Diventa dunque fondamentale, in fase di divorzio, valutare anche le ulteriori conseguenze della perdita dell’assegno divorzile o di una eventuale corresponsione di esso una tantum. È anche vero che la valutazione dei requisiti per accedere all’assegno, che si distingue da quello di mantenimento previsto in separazione, è in fase di divorzio più rigida, rendendo talvolta impossibile insistere per la corresponsione dello stesso.

             L’obbligo di versare l’assegno di mantenimento  in separazione infatti è previsto in favore del coniuge a cui non sia addebitabile la separazione e che non disponga di redditi adeguati a un tenore di vita simile a quello che aveva durante il matrimonio.

Questi presupposti dovranno essere valutati, caso per caso dal Tribunale che, nel determinare la cifra da versare per il mantenimento, dovrà tenere conto di:  divario economico tra i redditi percepiti dai coniugi, tenore di vita durante il matrimonio, e di ogni altra circostanza rilevante (ad esempio, verrà considerata l’effettiva attitudine del coniuge beneficiario allo svolgimento di un lavoro).

La  finalità dell’assegno di mantenimento è, dunque, assistenziale, ossia permette al coniuge privo dei mezzi sufficienti per mantenersi da solo di adeguarsi alle nuove condizioni di vita che derivano alla disgregazione del nucleo familiare.

Diverso è, invece, l’assegno divorzile, il cui fondamento si ravvisa nella rottura definitiva del rapporto coniugale e, dunque, nel venir meno di tutti gli effetti propri del vincolo matrimoniale.

Anche l’assegno divorzile ha una finalità assistenziale/solidaristica serve cioè a impedire il deterioramento delle condizioni economiche del coniuge economicamente più debole; però la legge lo riconosce al coniuge che lo richiede solo quando quest’ultimo non disponga di mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni obiettive, tenendo conto delle condizioni reddituali di entrambi i coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e patrimoniale, e valutando questi elementi in rapporto alla durata del matrimonio.

Tuttavia, essendo definitivamente cessato il legame personale dei coniugi, nel caso dell’assegno divorzile, la legge richiede requisiti più rigidi al fine del suo riconoscimento.

Non basta, infatti, che il coniuge beneficiario sia privo dei mezzi economici idonei ad assicuragli un tenore di vita tendenzialmente equiparabile a quella precedente, ma invece è necessario che egli sia oggettivamente nella condizione di non poterseli procurare (ad esempio, per inabilità fisica che impedisca lo svolgimento di un’attività lavorativa).

Ottenuto l’assegno periodico, il coniuge divorziato acquisirà una serie di diritti collegati all’ex coniuge:

la pensione di reversibilità in primis e un assegno a carico dell’eredità in caso di bisogno.

Quanto alla pensione di reversibilità, peraltro, è intervenuta anche l’Inps con circolare 132/2001 chiarendo la attribuzione di essa al coniuge divorziato qualora da solo, qualora in concorso con altri superstiti e qualora in concorso con altri coniugi divorziati o con quello superstite.

Oltre alla pensione il coniuge divorziato titolare di assegno può, a determinate condizioni, ottenere anche un assegno periodico a carico dell’eredità.  a mente dell’art. 9-bis. L.898/1970 infatti “ A colui al quale è stato riconosciuto il diritto alla corresponsione periodica di somme di denaro a norma dell’art. 5, qualora versi in stato di bisogno, il tribunale, dopo il decesso dell’obbligato, può attribuire un assegno periodico a carico dell’eredità tenendo conto dell’importo di quelle somme, della entità del bisogno, dell’eventuale pensione di reversibilità, delle sostanze ereditarie, del numero e della qualità degli eredi e delle loro condizioni economiche. L’assegno non spetta se gli obblighi patrimoniali previsti dall’art. 5 sono stati soddisfatti in unica soluzione. Su accordo delle parti la corresponsione dell’assegno può avvenire in unica soluzione. Il diritto all’assegno si estingue se il beneficiario passa a nuove nozze o viene meno il suo stato di bisogno. Qualora risorga lo stato di bisogno l’assegno può essere nuovamente attribuito.”

Vista dunque l’importanza di mantenere l’assegno periodico in fase di divorzio anche in relazione agli ulteriori diritti previdenziali ed ereditari ad esso legati, è bene chiarire che anche se l’assegno viene concesso in divorzio, il diritto ad esso potrebbe cessare per vari motivi, portandosi dietro, a catena, la perdita di tutti gli altri diritti suddetti.

Il diritto all’assegno divorzile cessa nel caso in cui il coniuge beneficiario si risposi, poiché i doveri di solidarietà economica si trasferiscono in capo al nuovo coniuge. Questa decadenza non richiede alcun intervento giudiziale e decorre dal giorno stesso in cui viene celebrato il nuovo matrimonio.

Sia nel caso di separazione che nell’ipotesi di divorzio, la convivenza stabile con un’altra persona non determina, invece, l’automatica perdita del diritto all’assegno di mantenimento o divorzile, perché bisogna dimostrare che la nuova convivenza sia stabile e abbia comportato un miglioramento significativo e stabile della condizione economica del beneficiario.

Recentemente comunque la Giurisprudenza di Cassazione ha stabilito che l’instaurazione di un rapporto duraturo e stabile di convivenza, meglio noto come famiglia di fatto, cambi la relazione con il tenore di vita che caratterizzava la convivenza matrimoniale, come anche il presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile, giustificando quantomeno una riduzione dell’importo dovuto se non addirittura una revoca dello stesso (sentenza Corte di Cassazione, I^ Sezione Civile, n. 17195 del 11.08.2011 e, da ultimo, sentenza Corte d’Appello di Bologna n. 394, depositata in data 08 aprile 2013).

Più recentemente: Cassazione 6855/2015  (perdita del diritto per nuova unione stabile anche se essa poi finisce) e Cass. ord. 4175 del 2.3.16.(perdita diritto solo se la nuova convivenza è stabile)

Perso il diritto all’assegno divorzile, quindi, il coniuge perderà anche la pensione di reversibilità e lì’assegno a carico dell’eredità.

di seguito la circolare INPS 132/2001 recante disposizioni per liquidare la pensione di reversibilità al coniuge divorziato.

circolare-inps-132_2001


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