Sulla linea delle ultime riforme in materia di rapporti di famiglia che hanno recentemente portato anche al riconoscimento giuridico delle convivenze more uxorio ai sensi e per gli effetti della L. 76/2016, anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 213 del 2016 ha dato rilevanza a detto rapporto stabilendo il rilevante principio secondo cui anche il convivente di persona disabile – che si occupi dell’assistenza in favore del partner malato o invalido – ha diritto di usufruire, con gli stessi diritti dei coniugi e dei parenti fino al secondo grado, dei tre giorni di permesso mensile retribuito e coperto da contribuzione figurativa previsti dalla legge 104 del 1992.
La vicenda parte dalla causa instaurata da un dipendente dell’ASL di Livorno per ottenere il riconoscimento del diritto ad usufruire dei permessi di assistenza previsti dall’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 a favore del proprio compagno a prescindere dall’esistenza di legami di parentela, affinità o coniugio con l’assistito.
L’adito giudice del lavoro di fronte alla richiesta, sollevava, in via incidentale, questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (disciplinatrice dell’assistenza, dell’integrazione sociale e dei diritti delle persone handicappate) “nella parte in cui non includeva il convivente more uxorio tra i soggetti beneficiari dei permessi di assistenza al portatore di handicap in situazione di gravità”, per assunta violazione degli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione.
La Corte Costituzionale, per valutare la questione,è partita dalla analisi dei presupposti che fondano la norma oggetto di analisi rilevando che essa costituisce espressione dello Stato sociale che eroga un contributo previdenziale in forma indiretta, tramite facilitazioni e incentivi ai congiunti che si fanno carico dell’assistenza di un parente disabile grave. La ragione giustificatrice del riconoscimento di tale diritto è, infatti, da rinvenire nel favorire l’assistenza alla persona affetta da handicap grave in ambito familiare.
Per questo, quindi, l’istituto del permesso mensile retribuito si pone in un rapporto di stretta e diretta correlazione con le finalità perseguite dalla legge n. 104 del 1992, con particolare riferimento a quelle di tutela della salute psico-fisica della persona portatrice di handicap (riconducibile all’art. 32 Cost.), da garantire anche nell’ambito delle formazioni sociali in cui trova svolgimento la sua personalità (ai sensi del denunciato art. 2 Cost.) da identificarsi con “ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico” (come già evidenziato nella fondamentale sentenza della stessa Corte n. 138 del 2010).
Da qui la valutazione da parte della Corte della irragionevolezza della norma che nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito ivi disciplinato, non ha incluso il convivente della persona con handicap in situazione di gravità.
Tutto ciò premesso la Corte è, quindi, pervenuta alla declaratoria dell’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, nella parte in cui non include il convivente (e non solo quello “more uxorio”) tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado., estendendo di fatto anche ad esso il diritto.
Questo il testo integrale della sentenza 213-pdf