La divisione ereditaria, normata all’interno del titolo IV del libro secondo (articoli 713 e seguenti), costituisce lo strumento di scioglimento della comunione ereditaria, e ha per oggetto non un singolo bene, ma l’intero patrimonio del defunto costituito da diritti su beni e da crediti, al netto dei debiti che lo gravano. È necessaria per passare dall’essere comproprietari pro quota della comunione ereditaria, a proprietari in via esclusiva di singoli diritti in capo a ciascun erede, proporzionalmente al valore della quota a lui spettante.
Preliminarmente alla divisione, peraltro, nel caso in cui i coeredi siano il coniuge e i figli legittimi e naturali del defunto (ivi compresi i loro discendenti legittimi e naturali), sarà necessario procedere alla collazione (articoli 737 e seguenti del codice civile), ovvero alla imputazione contabile al complesso dei beni ereditari delle donazioni che i figli e il coniuge abbiano ricevuto dal defunto in vita, così da ricomprendere nelle quote dei singoli eredi non solo quanto rimasto al momento della morte, ma anche quanto donato dal dante causa in vita, ciò presumendo che le liberalità elargite dal defunto siano state una anticipazione sulla futura successione.
La divisione ereditaria, infine, ha effetto retroattivo, ne consegue che ciascun condividente si considera unico e immediato successore, con decorrenza dalla data di apertura della successione nei beni costituenti la sua quota.
Per quanto riguarda le forme con cui la divisione può avvenire essa può essere contrattuale, giudiziale o testamentaria.
Laddove le parti trovino un accordo sulla volontà di dividere ed anche sulle modalità con cui procedere alla divisione, potranno procedere ad una divisione contrattuale, stipulando appunto il relativo contratto, che avrà natura dichiarativa con effetto retroattivo attribuendo il diritto sul singolo bene a ciascun erede sin dal momento della apertura della successione.
Recentemente, peraltro, la corte di Cassazione, con la sentenza 09.10.2013 n.22977, si è interessata di una particolare questione in tema di divisione ereditaria: in particolare la possibilità, in via contrattuale con gli altri coeredi, di procedere alla liquidazione di una singola quota spettante ad un coerede.
La controversia sottoposta all’esame della S.C. riguardava il caso di un giudizio di divisione ereditaria, in ordine al quale i coeredi avevano stipulato una scrittura privata con cui avevano inteso monetizzare la quota dell’eredità paterna di uno di essi, con la conseguenza che quest’ultimo non avrebbe più vantato pretese sulla comunione ereditaria. Le Corti di merito avevano dichiarato la validità del negozio, poi confermata anche in Cassazione.
Il principio innovativo avvallato dalla Cassazione è quello secondo cui il contratto con cui alcuni degli eredi fissano le modalità di ripartizione del patrimonio ereditario fra tutti i partecipanti alla comunione ereditaria ed assegnano a ciascuno la porzione spettantegli, vincolandosi all’osservanza del concordato assetto d’interessi, sia valido in quanto, non determinando direttamente lo scioglimento della comunione, non configura una vera e propria divisione ereditaria, per la cui validità invece è richiesta la partecipazione di tutti i coeredi alla sua conclusione.
Detta convenzione dunque, non essendo una divisione, è immediatamente efficace non solo per le parti contraenti, ma anche nei confronti delle parti che abbiano espresso adesione all’accordo, sottoscrivendo l’atto, se presenti, oppure, se assenti, mediante consenso preventivo esplicito .
Qualora invece i coeredi non trovino un accordo sulla divisione, è diritto di ciascuno di loro adire l’autorità giudiziaria per giungere alla divisione. Si tratta di una ipotesi di litisconsorzio necessario poiché devono essere chiamati a partecipare al giudizio tutti i coeredi.
Laddove si proceda alla divisione giudiziale si dovrà, innanzi tutto formare giudizialmente la massa ereditaria compresi eventuali beni donati ai coeredi dal de cuius, così come eventuali debiti dei singoli coeredi nei confronti del de cuius; successivamente i beni dovranno essere stimati secondo il loro valore di mercato ed infine dovranno essere formate ed assegnate le singole porzioni spettanti a ciascun erede.
Quanto, infine, alla divisone testamentaria, questa è effettuata direttamente dal testatore che divide i suoi beni tra gli eredi ( art. 734 c.c.) ed è nulla quando il testatore non abbia compreso qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti ( art. 735 c.c.), mentre se dalla divisione è stato leso il diritto alla legittima, l’atto non è nullo, ma il coerede leso nella sua quota di riserva può esercitare l’azione di riduzione contro gli altri coeredi.
Mi sembra di capire che le donazioni attribuite in vita dal de cuius non “espressamente” citate nell’atto di donazione come “Anticipazione sulla futura successione”, non hanno valenza ai fini della collazione, oppure questi, sono sempre da considerare?.
Grazie
Vale esattamente la regola contraria: tutte le donazioni fatte a coniuge e figli vanno portate in collazione a meno che nell’atto stesso o in atto successivo detta donazione non sia espressamente dispensata dalla collazione.
Mi ritrovo una donazione eseguita in vita dal de cuius, nella quale donava la nuda proprietà , riservandosi l’intero usufrutto a favore di uno dei figli. Nell’atto il notaio descrive…. il donante si spoglia di ogni diritto di proprietà che sin d’oggi aveva su quanto oggetto della presente donazione e di tutto investe il donatario, il quale da oggi in poi potrà godere e disporre a norma di legge.
Nel caso in questione dato che non fa menzione della collazione, il bene attribuito in vita al figlio (nuda proprietà) dovrà considerarsi nella successione legittima da effettuare.
Grazie
Se nell’atto in questione nè in un atto successivo detta donazione non è stata dispensata da collazione dovrà essere computata nella successione
sono destinatario di una sentenza ereditaria la quale mi attribuisce la proprieta di alcuni cespiti e un conguaglio economico da pare di un erede che è impossibilitato a quietanzarmi che adempimenti bisogna fare in merito alla trascrizione della sentenza alla conservatoria del registro, per evitare l’potecha immobbiliare anche sui miei cespiti assegnatomi dal giudice ?
Sicuramente deve procedere alla trascrizione della sentenza in conservatoria immobiliare, da quel momento la sua titolarità sarà opponibile erga omnes, ivi compresi eventuali creditori dell’altro erede. Quanto ad eventuali ipoteche immobiliari precedenti alla sua trascrizione (o anche successive, dipende ovviamente dal titolo per cui vengono trascritte) la invito a rivolgersi ad un legale il quale, informato nel dettaglio della sua situazione, la saprà assistere nel modo migliore.
Chiedo gentilmente se in un giudizio una scrittura privata non registrata ma firmata da tutti gli interessati (anni 1970) potrebbe prevalere su un rogito registrato davanti al notaio redato nel 1971, senza menzionare la scrittura?
Grazie infinite per la risposta.
Il rogito notarile prevale in quanto trascritto e quindi opponibile erga omnes; quanto alla scrittura al massimo potrebbe utilizzarla per contestare eventuali inadempimenti (sempre che gli stessi soggetti non abbiano sottoscritto, in data successiva, il rogito); ovviamente per un parere più preciso servirebbe aver conoscenza di tutti i dettagli e vedere gli atti.
Dovrei fare il primo insediamento in agricoltura e la provincia mi chiede che il terreno agricolo sia in mia proprietà o in affitto al 100%.
Ora io devo prendere in affitto o comprare il terreno di mia suocera.
Il problema è che questo terreno è in comunione ereditaria con dei parenti che non vogliono ne affittare, ne vendere, ne dividere. Hanno solo una piccolissima parte, un ventesimo di proprietà.
Cosa devo fare nei loro confronti, visto che mi impediscono di andare avanti con i miei progetti lavorativi?
Vogliamo evitare (se possibile) chiedere lo scioglimento della comunione (arrivare in tribunale) in quanto costoso e forse vincolante nel tempo dell’attività agricola.
Grazie
Premesso che per un parere più dettagliato servirebbero ulteriori specifiche, comunque l’unica speranza è che sua suocera, dopo la successione, abbia usucapito il terreno oppure che, essendoci in successione solo quel bene ed essendo decorsi i termini di accettazione gli altri coeredi non abbiamo mai accettato l’eredità nè in forma espressa nè in forma tacita e che sua suocera abbia invece utilizzato il terreno stesso. Altrimenti l’unica strada è la divisione giudiziale.
Salve, sono in procinto di iniziare una divisione con mediazione-giudiziale, la divisione ereditaria (fabbricati e terreni) si svolge tra n.6 eredi, di cui n.2 eredi hanno il 50% (1/4 per erede) dell’eredità, mentre i restanti n.3 eredi hanno il 50% (1/6 per erede). Nella fase attuale di prima mediazione amichevole tra gli eredi vi è un punto di accordo su tutta la divisione della proprietà solo di n.3 eredi con un totale di 66,66% della proprietà, mentre un disaccordo dei restanti n.2 eredi con il 33,33% della proprietà. Il mio quesito era se tale accordo tra la maggioranza degli eredi, appunto tra i n.3 eredi, può avere una valenza positiva o meno in una divisione effettuata attraverso una iniziale mediazione giudiziale. Vi ringrazio anticipatamente per le risposte. Saluti.
premesso che ogni caso ha poi un suo sviluppo diverso, ritengo che in fase di mediazione il mediatore tenga conto di proporre una soluzione che sia quanto più possibile condivisa; naturalmente se non si giungerà ad una soluzione in questa fase si dovrà procedere ad una divisione giudiziale