Le successioni

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E’ valido un testamento olografo nel quale la data è incompleta o manca del tutto o viene apposta da un terzo?

TESTAMENTO OLOGRAFO ED APPOSIZIONE DELLA DATA DA PARTE DI UN TERZO

Autore: dott.ssa Barbara Bosso de Cardona – abilitata alla professione di Notaio

A norma dell’art. 602 c.c. un testamento olografo per essere valido deve essere interamente scritto di pugno dal testatore e da questi datato e sottoscritto.

La data (che deve contenere l’indicazione del giorno, mese ed anno in cui il testamento viene redatto) serve a fotografare la situazione esistente al momento della redazione del testamento.

E ciò rileva sia per il caso in cui vi siano più testamenti redatti dalla medesima persona (per cui se i vari testamenti sono tra loro incompatibili prevale il testamento redatto per ultimo) sia quando si deve valutare la sussistenza della capacità di intendere e di volere del testatore al momento della redazione del testamento.

Può accadere, però, che in un testamento olografo si commettano errori, omissioni o incompletezze nell’apposizione della data e sul punto la giurisprudenza ha avuto occasioni di pronunciarsi.

Nel caso in cui il testatore abbia datato di suo pugno il testamento ma per errore materiale (dovuto ad ignoranza, distrazione o altra causa) ha inserito una data impossibile o errata (es. 30 febbraio 2023 oppure 1-112-2023), la Cassazione (con sentenza n. 37228/2021) ha stabilito che la data può essere rettificata dal giudice ma solo “avvalendosi di altri elementi intrinseci della scheda testamentaria così da rispettare il requisito essenziale dell’autografia dell’atto”.

Ma cosa accade se nel testamento olografo manchi del tutto la data o questa è incompleta (ad esempio è inserito solo l’anno)?

Ai sensi del secondo comma dell’art. 606 c.c., trattandosi di un difetto di forma del testamento diverso dalle ipotesi di cui al primo comma del medesimo articolo 606 c.c. (che si riferisce alla mancanza di autografia o della sottoscrizione), la mancanza o incompletezza della data rende il testamento olografo annullabile con azione giudiziale che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse nei cinque anni dalla data in cui le disposizioni testamentarie hanno avuto esecuzione.

Se, però, la data del testamento non è omessa o incompleta ma è stata apposta da un terzo, le cose cambiano.

La Cassazione, già con la sentenza n. 27414/2018, ha affermato che se un terzo interviene durante la redazione del testamento olografo scrivendo una qualunque parola, e quindi anche se appone la data, in questo caso si è fuori dall’ipotesi di omissione della data (che, come detto, dà luogo ad annullabilità del testamento) ma si configura la fattispecie di mancanza di autografia del testamento olografo che dà luogo, invece, a nullità del testamento ai sensi del primo comma dell’art. 606 c.c.

Il medesimo principio è stato recentemente ripreso dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 30237 del 31 ottobre 2023 con cui ha affermato che:  

“Nel testamento olografo l’omessa o incompleta indicazione della data ne comporta l’annullabilità; l’apposizione di questa ad opera di terzi, invece, se effettuata durante il confezionamento del documento, lo rende nullo perché, in tal caso, viene meno l’autografia stessa dell’atto, senza che rilevi l’importanza dell’alterazione. Peraltro, l’intervento del terzo, se avvenuto in epoca successiva alla redazione, non impedisce al negozio mortis causa di conservare il suo valore tutte le volte in cui sia comunque possibile accertare la originaria e genuina volontà del de cuius. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto che la data apposta da un terzo integrasse una nullità di carattere formale, suscettibile di conferma ex art. 590 c.c., tenuto conto che l’erede legittimo aveva dato volontaria e consapevole esecuzione al testamento, consegnando ai legatari i beni immobili che la testatrice gli aveva lasciato)”.

ACCETTAZIONE DI EREDITA’ CON BENEFICIO D’INVENTARIO A FAVORE DI MINORE

COSA ACCADE IN CASO DI OMESSA REDAZIONE DELL’INVENTARIO?

LA PAROLA SPETTA ORA ALLE SEZIONI UNITE DELLA CORTE DI CASSAZIONE.

Autore: dott.ssa Barbara Bosso de Cardona – abilitata alla professione di Notaio

Con l’ordinanza interlocutoria n. 34852 del 13 dicembre 2023  la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la risoluzione di un contrasto giurisprudenziale in tema di accettazione con beneficio d’inventario in favore di minori.

Il caso sottoposto alla Suprema Corte riguardava una madre che, per conto dei figli minori, aveva accettato l’eredità con beneficio d’inventario senza redigere, però, l’inventario. Giunti alla maggiore età i figli avevano rinunciato all’eredità entro il termine annuale previsto dalla legge e, sulla base di ciò, si erano opposti alla richiesta di pagamento da parte della Banca creditrice del padre defunto per il pagamento delle rate del mutuo da lui acceso.

Il principale effetto dell’accettazione con beneficio d’inventario è quello di tenere distinto il patrimonio dell’erede da quello del defunto per cui l’erede risponde dei debiti solo con il patrimonio ereditario e non anche con il proprio patrimonio.

Per ottenere ciò la legge disciplina dettagliatamente l’iter da seguire che prevede l’accettazione con beneficio d’inventario e la redazione dell’inventario; quest’ultimo adempimento può anche precedere la dichiarazione di accettazione ma, comunque, entrambe le formalità vanno osservate nei termini precisi indicati dalla legge, che variano dalla circostanza se il chiamato è nel possesso dei beni ereditari o non lo è.

I minori, e gli incapaci in generale, devono accettare l’eredità, ai sensi dell’art. 471 c.c., necessariamente con il beneficio d’inventario; in considerazione del fatto che la procedura beneficiata deve essere osservata per loro conto dai genitori o rappresentanti legali, l’art. 489 c.c. prevede che gli incapaci non si intendono decaduti dal beneficio d’inventario se non al compimento di  un anno dalla maggiore età o dal cessare dello stato di incapacità quando loro stessi non si siano conformati alle norme previste in tema di accettazione beneficiata.

Ma cosa succede quando il genitore del minore ha accettato con beneficio d’inventario l’eredità devoluta al figlio ma non ha compiuto l’inventario? Una volta divenuto maggiorenne, il figlio può solo perfezionare la procedura, e quindi redigere l’inventario ed evitare la confusione del suo patrimonio da quello del de cuius, oppure può anche rinunciare all’eredità?

Nel caso recentemente sottoposto alla Corte di Cassazione i ricorrenti hanno sostenuto la seconda delle tesi sopra esposte e quindi, avendo rinunciato all’eredità del padre una volta divenuti maggiorenni, hanno ritenuto di non dover rispondere in alcun modo dei debiti del defunto.

La Seconda Sezione della Corte di Cassazione, pur segnalando che il dato letterale della norma sembrerebbe confermare la tesi per la quale la dichiarazione di accettazione ex art 484 c.c., una volta effettuata, può portare solo all’accettazione pura e semplice o a quella beneficiata, riconosce che esistono all’interno della stessa Corte anche orientamenti diversi.

In particolare, la dichiarazione di accettazione e l’inventario sarebbero entrambi elementi costitutivi della procedura beneficiata per cui in mancanza di uno solo di essi la fattispecie a formazione progressiva non si perfeziona.

Pertanto, la sola dichiarazione di accettazione fatta dal genitore servirebbe esclusivamente a far mantenere al minore la sua posizione di chiamato all’eredità per cui quando questi raggiungerà la maggiore età potrà non solo far redigere l’inventario e perfezionare l’accettazione beneficiata ma anche rinunciare all’eredità.

Esistendo detti contrasti, la Seconda Sezione Civile ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente affinché valuti l’opportunità di rimettere la causa alle Sezioni Unite per “chiarire se l’inventario sia elemento perfezionativo di una fattispecie a formazione progressiva in mancanza del quale vengono meno anche gli effetti della dichiarazione di accettazione ex art. 484 c.c., per cui l’accettante resta mero chiamato con facoltà di rinuncia, o se esso costituisca adempimento successivo la cui mancanza non osta all’acquisto della qualità di erede in virtù dell’originaria dichiarazione di accettazione, senza possibilità di successiva rinuncia, fatta salva solo la responsabilità ultra o intra vires hereditatis”.

Attendiamo quindi fiduciosi la pronuncia delle Sezioni Unite per avere una interpretazione certa ed univoca della norma ponendo fine agli orientamenti diversi e contrasti finora rilevati.

Quando è opportuno rinunziare al legato in sostituzione di legittima e la forma necessaria?

IL LEGATO IN SOSTITUZIONE DI LEGITTIMA: FORMA DELLA RINUNCIA

di Dott.ssa Barbara Bosso di Cardona – abilitata alla professione di Notaio

Con il legato in sostituzione di legittima il testatore attribuisce ad un legittimario determinati beni in “sostituzione” di quanto a questi spettante a titolo di legittima sul patrimonio ereditario.

Ai sensi dell’art. 551 c.c., al legittimario è attribuita la facoltà di scegliere se conseguire il legato (perdendo il diritto a chiedere il supplemento nel caso in cui il valore del legato sia inferiore alla quota di riserva prevista dalla legge) oppure se rinunziare al legato e chiedere la legittima.

Questa disposizione deve essere coordinata con quanto previsto dall’art. 649 c.c. che prevede che il legato si acquista automaticamente, senza quindi bisogno di accettazione, fatta salva la facoltà di rinunciarvi.

Secondo una parte della dottrina si tratta di un rifiuto impeditivo cioè la rinuncia del legatario impedisce che si perfezioni la fattispecie a formazione progressiva del conseguimento del legato. Secondo altra parte della dottrina, invece, siamo in presenza di una vera e propria rinuncia abdicativa, che elimina l’acquisto che si è verificato automaticamente per legge.

La legge non prevede espressamente in quale forma debba avvenire la rinuncia al legato ma si ritiene generalmente che questa possa avvenire anche per fatti concludenti, cioè in maniera tacita ovvero con comportamenti incompatibili con la volontà di rinunciare al legato.

Quando, però, il legato ha ad oggetto diritti immobiliari la rinunzia deve farsi per iscritto a pena di nullità ai sensi dell’art. 1350 n. 5) c.c. in quanto, come segnalato anche dalla giurisprudenza (v. Cass. n. 8878/2000), la rinuncia si risolve in un atto di dismissione della proprietà su beni già acquisiti al patrimonio del rinunciante.

Il principio innanzi esposto (libertà della forma della rinuncia al legato, salvo abbia ad oggetto diritti immobiliari) non viene derogato nel caso di legato in sostituzione di legittima.

La circostanza che al legatario sia attribuita la facoltà di scegliere tra legato e legittima non significa, infatti, che il legato tacitativo non si acquista automaticamente ex art 649 c.c., al pari di qualunque altro legato.

Secondo la Cassazione a Sezioni Unite n. 7098/2011 il legato in sostituzione di legittima si acquista automaticamente ma è sottoposto alla condizione risolutiva della scelta, operata dal legittimario-legatario, di rinunciare al legato e conseguire la legittima. Anche in tale caso, dunque, la rinuncia, se ha ad oggetto beni immobili, deve essere effettuata in forma scritta per l’esigenza di certezza dei trasferimenti immobiliari.

Il medesimo principio è stato ripreso recentemente dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza del 2 novembre 2023 n. 30384 con cui ha stabilito che il legittimario in favore del quale il testatore abbia disposto un legato in sostituzione di legittima avente ad oggetto beni immobili, se vuole conseguire la legittima, deve rinunciare al legato, a pena di nullità, con la forma scritta ex art 1350 n. 5) c.c.

L’azione di riduzione intentata da un chiamato all’eredità rappresenta a tutti gli effetti una forma di accettazione tacita dell’eredità

di dott. Barbara Bosso de Cardona – abilitata alla professione di Notaio

L’ESERCIZIO DELL’AZIONE DI RIDUZIONE: RIFLESSI SULL’ACCETTAZIONE DELL’EREDITA’

L’azione di riduzione costituisce uno strumento di tutela messo a disposizione dall’ordinamento al legittimario che sia stato leso nella sua quota di legittima.

L’art. 564 c.c., nel disciplinare le condizioni per l’esercizio dell’azione di riduzione, richiede al legittimario che intenda agire in riduzione di accettare l’eredità con beneficio d’inventario.

Ciò, però, è richiesto solo nel caso in cui l’azione di riduzione venga esercitata verso un soggetto terzo, non coerede, che abbia beneficiato di donazioni o legati da parte del de cuius lesivi della legittima altrui.

Non è richiesta, invece, l’accettazione beneficiata nel caso in cui si agisca contro un soggetto chiamato come coerede, e ciò in quanto la norma è posta a tutela del terzo estraneo che, trovandosi convenuto in giudizio, in assenza di un inventario d’eredità avrebbe più difficoltà, rispetto ad un soggetto coerede, di accertare la consistenza dell’asse ereditario e, quindi, di poter difendere in giudizio la propria posizione.

L’accettazione di eredità può essere, però, oltre che espressa (pura e semplice o con beneficio d’inventario), anche tacita, cioè effettuata tramite comportamenti concludenti che implicano necessariamente la volontà di accettare l’eredità.

La giurisprudenza ha in diverse occasioni precisato quali sono i comportamenti del chiamato all’eredità che costituiscono accettazione tacita e, tra questi, vi è l’esercizio dell’azione di riduzione.

Recentemente la Cassazione è tornata sul tema e con ordinanza del 27 ottobre 2023 n. 29891 ha affermato che “L’accettazione tacita dell’eredità può desumersi dall’esplicazione di un’attività personale del chiamato incompatibile con la volontà di rinunciarvi, ovvero da un comportamento tale da presupporre la volontà di accettare l’eredità secondo una valutazione obiettiva condotta alla stregua del comune modo di agire di una persona normale, così che essa è implicita nell’esperimento, da parte del chiamato, di azioni giudiziarie, che – perché intese alla rivendica o alla difesa della proprietà o al risarcimento dei danni per la mancata disponibilità di beni ereditari – non rientrino negli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti dall’art. 460 c.c., trattandosi di azioni che travalicano il semplice mantenimento dello stato di fatto quale esistente al momento dell’apertura della successione, e che il chiamato non avrebbe diritto di proporle così che, proponendole, dimostra di avere accettato la qualità di erede.”

Pertanto, l’esercizio dell’azione di riduzione costituisce accettazione tacita dell’eredità e preclude la possibilità di accettare successivamente con beneficio d’inventario “in quanto l’accettazione beneficiata non è giuridicamente concepibile dopo che l’eredità sia stata già accettata senza beneficio, non potendosi invocare il differimento dell’acquisto della qualità di erede al passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento della riduzione, posto che tale regola opera solo per il legittimario totalmente pretermesso”.