In caso di morte cosa accade al patrimonio digitale del defunto?
di Barbara Bosso de Cardona – Notaio in Torino
Nell’epoca attuale assume particolare rilevanza, anche dal punto di vista economico, il patrimonio digitale di ciascuno di noi.
Si tratta di una serie di beni (files, audio-video, siti web, blog, softwares, posta elettronica ed in generale documenti informatici) che, dal punto di vista giuridico, possono formare oggetto di diritti ai sensi dell’art. 810 del c.c.
In realtà, la composizione del patrimonio digitale è eterogenea in quanto, accanto ai beni dal contenuto patrimoniale, che hanno quindi un valore economico (ad es. un file ebook di uno scrittore), vi sono anche beni dal valore solo affettivo o morale (es. foto familiari conservate nella memoria dei telefoni cellulari).
Pur non essendovi dubbio sul fatto che i beni digitali a contenuto patrimoniale siano trasmissibili per successione, in quanto diritti disponibili, la dematerializzazione (caratteristica tipica del patrimonio digitale) può creare delle difficoltà operative in ambito successorio.
Infatti, i beni digitali sono conservati su supporti informatici a cui si accede con delle password che sono custodite dal titolare (e che spesso vengono cambiate e/o aggiornate).
Naturalmente, ciò può comportare delle difficoltà per gli eredi che non sempre conoscono le chiavi di accesso e che, quindi, non riescono a recuperare facilmente il patrimonio digitale.
In parte la questione è stata affrontata da alcuni Tribunali e dalla normativa in materia di protezione dei dati personali, prevedendo che i diritti relativi alle persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione.
Conseguentemente, gli eredi possono chiedere al gestore del servizio digitale l’accesso ai dati informatici del defunto archiviati nel sistema informatico[1]
Naturalmente, può essere lo stesso titolare che, in previsione della sua morte, può pianificare la trasmissione del suo patrimonio digitale.
Lo strumento principe con cui si può attuare ciò è il testamento con il quale il testatore può, ad esempio, disporre un legato di password, al fine di consentire ai soggetti da lui indicati di poter accedere facilmente all’archivio informatico (fermo restando l’adozione di alcuni accorgimenti per coordinare la necessità della segretezza, tipica di ogni password, con la struttura del testamento il cui contenuto, e dunque anche la password, una volta pubblicato, è conoscibile anche da soggetti diversi da quelli a cui si intende attribuire la chiave di accesso).
Non essendo disciplinata in maniera specifica la successione del patrimonio digitale, si dovrà, dunque, prestare molta attenzione per cercare di rendere la detta successione non solo compatibile con il generale sistema successorio italiano ma anche operativa e funzionale alle esigenze rappresentate dalla modernità dei nostri tempi.
[1] Tribunale Milano Sez. I Ord., 10.2.2021: “L’esercizio del diritto di accesso ai dati personali del defunto ex art. 2-terdecies, comma 1, D.Lgs. n. 196/2003, custoditi all’interno di un account i-cloud messo a disposizione da un fornitore di un servizio della società dell’informazione in forza di un contratto a distanza, deve essere consentito agli eredi che dimostrino di essere portatori di ragioni familiari meritevoli di protezione e, dunque, non può essere subordinato alla ricorrenza di ulteriori requisiti, previsti dal contratto sotteso all’utilizzo dell’account, ma estranei alla normativa in tema di accesso ai dati personali, potendo tale accesso essere vietato soltanto dalla espressa dichiarazione scritta dell’interessato di cui all’art. 2-terdecies, comma 2, del D.Lgs. n. 196/2003, presentata o comunicata al titolare del trattamento.”

